L’Arabia Saudita è spesso percepita come il paese che, forse più di ogni altro al mondo, deve le proprie fortune al petrolio e alle risorse naturali del suo sottosuolo. Emerge così l’immagine di una nazione che, grazie alle elevatissime rendite petrolifere, è in grado di finanziare alleati regionali, così da non dover intervenire in prima linea nei conflitti, e che può permettersi di “comprare” i nemici piuttosto che combatterli. Allo stesso tempo, da decenni, il regno saudita si è assicurato un solido sostegno occidentale, e soprattutto americano, in tema di sicurezza e difesa. Tuttavia, almeno a partire dagli anni Novanta, questa immagine è andata progressivamente incrinandosi e il governo di Riad si è dimostrato sempre più attivista sul piano internazionale, incrementando costantemente le proprie spese militari e lanciando, nel 2017, l’ambizioso programma Saudi Vision2030. Quest’ultimo ha come obiettivi la diversificazione dell’economia rispetto al corrente orientamento basato sulle esportazioni di petrolio, nonché lo sviluppo di una solida industria militare nazionale, così da svincolarsi, almeno in parte, dalle sempre più consistenti importazioni di armamenti.
L’inizio di una massiccia importazione di armi da parte dell’Arabia Saudita si può far risalire ai primi anni Novanta: in risposta all’invasione del Kuwait da parte dell’Iraq di Saddam Hussein, il regno saudita iniziò infatti a ordinare grandi quantità di materiale bellico dagli alleati occidentali. Il livello degli acquisti diminuì nel decennio successivo, in buona parte per consentire alle forze saudite di integrare i nuovi armamenti nei loro arsenali, per poi riprendere ad aumentare a partire dal 2008, scavalcando rapidamente il picco degli anni Novanta e toccando un nuovo apice nel quinquennio 2013-2017. L’Arabia Saudita è dunque divenuta il principale importatore di armi fra i paesi del Golfo persico.
Nel 2018, inoltre, il Regno è stato il paese con la spesa militare più alta in relazione al PIL (8.8%), nonché il maggior importatore di armamenti al mondo, con una quota pari al 12% del volume di scambi mondiale. Per alimentare questo ingente flusso di armamenti Riad si rivolge principalmente ai paesi occidentali, in primis all’alleato americano: da Washington provengono, infatti, i caccia da combattimento F-15SA, i quali vanno a integrare un’ulteriore fornitura di caccia modello Typhoon dal Regno Unito, entrambi armati con missili cruise modello Slam-er, che hanno un raggio di 280 km, e con altre armi guidate. Complementare a quello dei velivoli da combattimento è stato l’acquisto, dalla Spagna, di sei aerei tanker (aerei utili per il trasporto e il rifornimento in volo di velivoli più piccoli) A-330 MRTT, prodotti dalla compagnia Airbus, i quali hanno permesso alla Royal Saudi Air Force (Rsaf) di svincolarsi – come annunciato nel novembre 2018 – dal supporto americano per i rifornimenti in aria. Altro tassello fondamentale è rappresentato dall’acquisto, dagli Stati Uniti, di 23 sistemi di difesa antibalistica Patriot Pac-3 acquisiti tra il 2014 e il 2018, cruciali per la difesa dello spazio aereo del Regno, i quali saranno integrati, o in parte sostituiti, dai sistemi antimissile di ultima generazione Thaad (Terminal High Altitude Area Defense) già ordinati, nel 2018, al partner americano.
Anche le forze navali e di terra saudite vengono continuamente ammodernate, come dimostrano gli acquisti di oltre 3000 mezzi corazzati da diverse nazioni quali il Canada, l’Austria, la Francia, la Turchia e gli Stati Uniti. Le Royal Saudi Naval Forces (Rsnf) si sono procurate mezzi sempre più sofisticati tramite i progetti Saudi Naval Expansion Project (Snep) 1 e 2 che prevedono l’acquisto di fregate dagli Stati Uniti e di motovedette da Francia e Germania, l’inaugurazione di una joint venture tra la spagnola Navantia e le Saudi Arabian Military Industries (Sami) e la costruzione di cinque corvette di tipo AVANTE-2200, la cui consegna è prevista per il 2022-2023. A queste ultime è correlato l’ordine di 14 elicotteri da combattimento statunitensi MH-60R SEAHAWK, in grado di essere ospitati sulle corvette dal tonnellaggio di 2500t.
Oltre all’importazione di armamenti altamente sofisticati, il governo di Riad non disdegna l’acquisto di armi di seconda mano, destinate, più o meno dichiaratamente, ad armare milizie sunnite da esso sostenute in vari paesi del Medio Oriente (principalmente in Siria e in Yemen), nonché a combattere gruppi armati sciiti attivi nella provincia orientale (ash-Sharqiyyah) della stessa Arabia Saudita. Questi armamenti vengono acquistati principalmente da paesi dell’Europa orientale, tra cui Serbia e Montenegro, i quali hanno ampie scorte di armi risalenti al periodo comunista che Riad può permettersi di acquistare a prezzi ribassati.
Attualmente la politica di acquisizione di armi da parte del Regno saudita sta evolvendo lungo due direttive finalizzate a svincolarsi dalla dipendenza di forniture di armi occidentali. In primo luogo i leader del paese stanno cercando di sviluppare rapidamente il settore industriale militare nazionale: a questa esigenza risponde la creazione del già citato conglomerato Sami – parte del più ampio progetto Saudi Vision2030 – il cui obiettivo dichiarato è quello di diventare una delle prime 25 compagnie produttrici di armamenti del mondo entro il 2030. Sebbene sia improbabile che tale scadenza venga rispettata, l’industria militare saudita ha già fatto alcuni importanti passi in avanti, come dimostra il fatto che 68 dei caccia F-15SA importati dagli Stati Uniti verranno assemblati sul suolo nazionale.
In secondo luogo Riad sta osservando il mercato di armi internazionale alla ricerca di nuovi fornitori, con particolare attenzione alla Federazione russa. L’avvicinamento a quest’ultima, infatti, ha preso una svolta molto più decisa rispetto al passato con la visita di re Salman a Mosca del 5 ottobre 2017, in occasione della quale è stato firmato un accordo preliminare tra i due paesi per l’acquisto di armamenti di produzione russa. Tale intesa, che interessa la saudita Sami e l’impresa esportatrice di armi russa Rosoboronexport, prevede inoltre il trasferimento di tecnologie e tecniche per la costruzione e la riparazione di armi all’Arabia Saudita, così da renderla in grado di localizzare la produzione, o quantomeno parte di essa, sul territorio nazionale. L’elemento cruciale dell’accordo è, tuttavia, l’assenso saudita all’acquisto dei sistemi di difesa antibalistici S-400, alternativi ai Patriot Pac-3 americani; acquisto che renderebbe il regno saudita il secondo alleato americano, dopo la Turchia, a dotarsi di tali sistemi di fabbricazione russa, e che creerebbe tensioni con il governo di Washington.
Ad ogni modo non si ha, al momento, certezza della futura attuazione di tale accordo preliminare tra Riad e Mosca – fatto che induce a pensare che esso sia stato soprattutto una mossa strategica da parte dei sauditi per indurre gli americani a sbloccare le vendite dei sistemi Thaad al regno. Le vendite di questo sofisticato sistema di difesa missilistica erano state bloccate per sanzionare il metodo, incurante dell’incolumità dei civili, con cui l’esercito saudita conduceva la guerra in Yemen. L’amministrazione guidata da Donald Trump ha tuttavia deciso di sbloccare la vendita il 6 ottobre 2017, e l’operazione è stata approvata dal Pentagono il 4 marzo 2019, come parte di un accordo per la vendita di forniture militari per un valore di 110 miliardi di dollari annunciato proprio da Trump in occasione di una visita a Riad.
D’altronde, gli attacchi da parte delle milizie sciite yemenite Houthi alle installazioni petrolifere di Abqaiq e Khurais del settembre 2019 potrebbero fornire all’Arabia Saudita un ulteriore incentivo a dotarsi degli S-400: usando missili cruise e droni che volano a bassa quota, i ribelli sono infatti riusciti a eludere le difese saudite, basate sui sistemi d’arma americani, e a colpire i bersagli. In seguito all’attacco il presidente russo Vladimir Putin ha nuovamente offerto al governo saudita i propri sistemi di difesa, i quali, a detta del Cremlino, sarebbero in grado di neutralizzare anche bersagli che volano a bassa quota (al contrario dei Patriot Pac-3). Tale ipotesi è stata ancora una volta discussa dal re Salman e Putin in occasione della visita di quest’ultimo a Riad, avvenuta nell’ottobre 2019, insieme ad altri argomenti tra i quali la collaborazione in campo energetico.
Gli sviluppi descritti finora sembrano indicare un progressivo allontanamento del Regno saudita dalla sfera di influenza americana, in tema di difesa e sicurezza. Il governo di Riad sembra intento a ricercare una propria autonomia sullo scacchiere mediorientale, sia in riferimento alla rivalità con l’Iran sciita sia relativamente alla competizione con la maggiore potenza sunnita della regione, la Turchia di Recep Tayyip Erdogan.
Cesare Simeoni Leoni